Testi
COSTRUIRE LA DURATA
Testo di Anna Rita Chiocca
Francesca Gentili dipinge giovani figure dalle sembianze gracili, volti che fanno affiorare sulla pelle della tela la fragilità della condizione umana e dell’arte, il bisogno che queste hanno di cura e protezione. Non seducono, se non nella forma interrogativa. Il ritratto, come qualunque immagine presa dalla realtà e collocata nell’estetico, rappresenta un’idea di durata, di memoria individuale e collettiva bloccata per mezzo del processo creativo nel congelamento simulato di un attimo. Non conosciamo l’identità dei personaggi ritratti, sono certamente la sintesi di una resistenza al tempo, pronti a scomparire così come erano apparsi. I volti emergono o scompaiono dallo sfondo. Il corpo umano sembra essere della stessa materia dell’aria che lo circonda, in essa emerge e si ritrae, pronto a ritornare in quello stato primigenio. Instabilità materica, per instabilità emotiva. Volti concepiti secondo una riduzione formale direttamente proporzionale alla intensificazione emotiva: contorni indefiniti, campiture sfrangiante, insignificante rapporto figura e sfondo. Quelle immagini suggeriscono turbamento, sottolineano una tensione. Intuiamo la presenza di qualcosa di ineluttabile. Lo spettatore è continuamente richiamato ad un rapporto empatico e ad un giudizio, un coinvolgimento emotivo a cui non si può sottrarre. La durata, in qualunque forma essa sia, si costruisce in ogni istante attraverso un particolare rapporto tra storia e memoria, presente e desiderio, se manca uno di questi elementi si verificano fratture, cedimenti. I volti di Gentili richiamano visi Rinascimentali, da quelli efebici di Leonardo, agli sguardi giudici di Pontormo e come questi sono muti, dialogano con noi attraverso un gesto, un’occhiata. Per un artista affrontare il contemporaneo significa, andare oltre la dimensione spaziale, al tecnico fine a se stesso, alla pura abilità manuale: costruire la durata, aspettare, interrogarsi. L’immagine rende sensibili e visibili i rapporti temporali irriducibili al presente.
INSTALLAZIONI
" ....la sua ricerca, dopo essersi confrontata con tendenze iperrealistiche o superrealistiche, si è spostata verso l'indagine dello spazio del posthuman. Un ambito dove i concetti di identità e di contraddizione cari a Kant e Hegel, sono completamente superati per far posto alla "differenza", all'"altro" che prevalicala speculazione teoretica e l'umano sentire per scivolare su corpi gelatinosi, registrare esperienze depurate di ogni tonalità affettiva, "altre" appunto rispetto al sentimento del corpo, all'identità soggettiva, passionale ed eccessiva ibernata e proiettata al di là dell' umano.
Di qui la scelta dell'isolamento dell'immagine per evitarela narrazione che è il correlato dalla illustrazione, l'opzione per l'estrazione e l'isolamento per sfuggire dal figurativo e raggiungere il "figurale", nel senso di sottrazione e decostruzione operata non solo nei confronti del logocentrismo ma anche del soggetto metafisico ancora racchiuso e tutelato dal corpo fino all'annullamento ontologico del sensibile.
Ed è proprio questo azzeramento di ogni calore umano che si riscontra nello sguardo germinale, affidato ad occhi liquidi tanto ciechi e assenti che si limitano a rispecchiare la realtà senza alcuna elaborazione, di questi esseri alieni amniotici, con il corpo appena abbozzato, trasparenti e impermeabili ad ogni rimorso o senso di colpa, senza tempo e senza storia, in una parola, al di là del bene e del male." (Prof. PAOLA BALLESI)
Nelle installazioni, costituite da due lightboxes sopra cui vengono inserite a strati delle immagini stampate su lastre di policarbonato, "l'elemento" vive in una dimensione sospesa, una condizione che riflette il dramma dell'essere umano, il desiderio di una nuova realtà.
GIACOMETTI
"L'arte mi interessa molto, ma la verità mi interessa infinitamente di più... Più lavoro e più vedo diversamente... in fondo diventa sempre più sconosciuto, sempre più bello. Varrebbe per me la pena di lavorare, anche se non c'è risultato per gli altri, per la mia visione personale... la visione che ho del mondo esterno e delle persone... Penso di progredire ogni giorno. Per questo lavoro più che mai. Sono sicuro di fare ciò che non ho ancora mai fatto e che renderà superato ciò che ho fatto fino a ieri sera o stamattina. Non si torna mai indietro... È lungo il cammino. Allora tutto diventa una specie di delirio esaltante, come l'avventura più straordinaria: se partissi su una nave per paesi mai visti e incontrassi isole e abitanti sempre più imprevisti, mi farebbe esattamente lo stesso effetto. Questa avventura la vivo veramente. Allora, che ci sia un risultato o no, che importanza vuole che faccia? Che in mostra ci siano cose riuscite o mancate mi è indifferente. Visto che per me è in ogni modo un fallimento, troverei normale che gli altri non guardino neppure. Non ho niente da chiedere se non di poter continuare perdutamente."
"Perché sento il bisogno, sì il bisogno, di dipingere volti? Perché sono - come si può dire - quasi allucinato dai volti delle persone? E questo da sempre. Come un segno ignoto, come se ci fosse qualcosa da vedere che non si vede al primo colpo d'occhio. Perché?»
A.Giacometti
LA PERDITA DELL'ELOQUENZA
Testo Maurizio Coccia
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è la pittura, più di ogni altra forma di espressione artistica, che negli ultimi decenni ha visto mettere in discussione -con periodico accanimento -il proprio statuto. Le prime turbolenze organizzate si registrano attorno al '68. L'irrompere delle pratiche cosiddette extra-artistiche, all'interno del clima di diffusa sentenziosità dell'epoca, giunge a proclamare con enfasi dogmatica la “morte dell'arte”. Questo perché, con il binomio concetto/comportamento, si tentava di affermare un approccio più diretto alla realtà, di contro alla sua “rappresentazione”, così cara alle tecniche artistiche tradizionali. Il secondo colpo alla pittura viene inferto negli anni '90 dal dilagare di opere fotografiche e video. Complice anche l'indiscriminata semplificazione esecutiva, introdotta dall'uso delle tecnologie digitali, si pensò addirittura di averle assestato il fatidico colpo di grazia.
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Sappiamo, invece, com'è andata. Già nel '71-'72 si assiste ad una formidabile scossa nel panorama (che si credeva agonizzante) della pittura. La sua ricerca di una nuova illibatezza, dopo i fasti di Concettuale e Arte Povera, la conduce verso una ripresa di stilemi più popolari, fra tentazioni barbare e languori decadentisti. Ricordiamo, al proposito, Transavanguardia, Anacronisti, Nuovi-nuovi, Neuen Wilden. Poi, verso la fine del XX secolo, accade che, per reagire al rischio di un appiattimento della pitturasul registro di un asettico eclettismo tecnologico, si individui il suo ruolo proprio nella dialettica coi nuovi media.
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Il lavoro di Francesca Gentili prende le mosse da questo humus. Alla base dei suoi dipinti c'è sempre una impronta fotografica. Questo dipende, in minima parte, da questioni generazionali. Ma, soprattutto, deriva da una caparbia vocazione personale, insensibile alle oscillazioni del gusto. Fin dagli esordi, infatti, il suo è un percorso che mira, perentoriamente, alla verifica della pittura, della sua grammatica, dei suoi mezzi. Ciò ha significato, negli anni, un contronto serrato col “dubbio della pittura”. Quel modo. Cioè, di intendere l'arte come interrogarsi inesausto sui limiti (e sull'eventuale missione) della pittura, senza però cedere a lusinghe dottrinarie.
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Nelle realizzazioni più recenti, Francesca Gentili porta alle estreme conseguenze gli inizi figurativi sfociando nell'astrazione. Con questa mostra, possiamo vedere come la transizione investa sia il mezzo (cioè la pittura) che il contenuto delle opere. Viene qui esposta una serie di quadri che rappresentano volti in primo e primissimo piano. Gli sguardi sono ieratici, le attitudini solenni, è assente ogni dimensione narrativa. Si tratta di volti senza ambizioni esistenziali. Sono visi che, per quanto fedelmente somatici, non sembrano corrisponere a persone particolari. Si tratta, piuttosto, della persistenza retinica di impressioni visive lontane nel tempo. Queste facce sono una presenza immanente, categorica. La loro fissità artificiale, da maschera, raggiunge un grado si espressività che potremmo definire “non eloquente”.
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Frutto di una matura consapevolezza stilistica, l'esecuzione è compendiaria, fluida e vitale. Pennello e spatola. Grazie ad una tecnica sicura, educata da una lunga esperienza, conferiscono forza strutturante al colore. La gerarchia personaggio/sfondo viene annullata, a favore di una descrizione di carattere atmosferico e avvolgente. Il ricorso ad un tonalismo rarefatto, il trattamento leggero del supporto e l'affiorare della matita (un segno più allusivo, che costruttivo) sono altrettanti indici di un'attenzione realistica, ma non mimetica, al soggetto. Perché Francesca Gentili punta alla sintesi, non all'analisi.
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Pare che ora, Francesca Gentili sia giunta allo stadio dei resoconti. E', in poche parole, il momento della messa a punto di una strategia finalmente personale. Abbiamo anticipato che adesso la sua attenzione si concentra sulla dicotomia figura /astrazione. E gli ultimi lavori, appunto, sperimentano l'incrocio di queste due posizioni. Esse si intersecano, sotto i nostri occhi, fino a fondersi in una sorta di osmosi timbrica. Infine, sembrano riconciliarsi nella dimensione della “immagine”, di quell'elemento , cioè, che nonostante tutto hanno in comune.
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Ma i quadri di Francesca Gentili, mantengono l'inquietudine della soglia. Sono, certo, una zona franca, un territorio di passaggio. Però sconfessano la rassicurante stabilità dell'accordo definitivo. Dalla parte, diciamo, così “mondana”, di questi lavori, c'è la rappresentazione del mondo fisico. Che, mediante la recente riduzione pittorica, si va progressivamente sciogliendo in una ricerca di essenzialità vicina all'astrazione. Dall'altra parte, invece, cioè sul piano dei significati, questi volti, per quanto scarnificati, rispondono ancora ad uno strenuo impulso figurativo.
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Naturalmente, si tratta di immagini che facilmente si offrono all'identificazione. I meccanismi proiettivi, per essere davvero efficaci, devono applicarsi su entità riconoscibili, ma neutrali, al limite dell'indifferenza. Ecco quindi i volti col loro grado zero di espressività. Il livello di immedesimazione, poi, giunge al punto di invertire i concetti di attivo e passivo, ovvero soggetto e oggetto. Perché, sottoposti a questi sguardi silenziosi, concavi e fuori scala, viviamo una condizione di perturbamento irreale. La dinamica osservatore/osservato si ribalta e siamo assaliti da una sensazione di sottile, istintivo sgomento.
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Forse Francesca ha impostato il suo discorso, tutto interno alle leggi proprie dell'arte, per abbracciare un orizzonte più vasto. Perché -sembra dirci Francesca -se l'esperienza estetica è parte essenzialedella più generale esperienza di vita, allora è solo la pittura che ce la può restituire integralmente. Per l'arcaica energia che le deriva dal suo passato. Oppure grazie alla sua capacità di mediazione fra reale e immaginario. Magari anche per la sua continua, eroica, sfida tecnica. O invece, più semplicemente, per la sua commovente, irriducibile, definitiva umanità.
Maurizio Coccia